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Messaggio Da kemoAdmin Gio Mag 29, 2008 4:48 pm

Siccome sono sborone, vi posto qui le rece ch ho scritto per debaser.it
Man mano che ne scrivo altre, le aggiungo qui sotto.

Assalti Frontali: Conflitto
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_23439/Assalti_Frontali_Conflitto.htm
Recensione di: kemoSabe, (Thursday, May 15, 2008) | Voto: * * * * °
Copertina di Assalti Frontali Conflitto
Millennovecentonovantasei.Primo anno universitario radicalizzante la mia esperienza politica. Una mattina di un mese qualsiasi, dopo la rigorosa presenza in aula studenti, vado in Feltrinelli a curiosare e a perdere un pò di tempo (le lezioni di diritto proprio non le sopportavo) e rimango colpito da una copertina arancione e nera, sfocata, di un CD, imbucato fra le uscite del Manifesto e dal titolo che vi campeggia: "Assalti Frontali - Conflitto". In cinque minuti il dischetto è mio e me lo vado a ascoltare in santa pace. Hip Hop... di cui sono a digiuno (tutt'ora) a parte poche e trascurabili cose. Militant A e i Brutopop ("cazzo i Brutopop, ma questi li ho visti dal vivo!"), parte la musica e tutto mi sembra fuorchè roba hippoppettara: parte la tensione palpabile della musica dei Brutopop, in bilico tra furia e disperazione, che sostituisce in maniera egregia tutto l'armamentario di campioni e basi tipiche del genere. E' un hiphop suonato e ragionato. C'è qualcosa che mi ricorda altre atmosfere, altri luoghi lontani kilometri... controllo e scopro che il dischetto è prodotto (nella sala autogestita del c.s.o.a. Forte Prenestino) da nientemeno che Don Zientara degli inarrivabili Fugazi (con cui gli A.A. avevano anche condiviso palco e sudore qualche tempo prima, che accoppiata strana e affascinante). Poi parte la voce di Militant A: "E ogni giorno mando giù un po' di veleno/ogni giorno/io che amo l'armonia/e vado un po' a giocare con la mia follia/non mi pare il caso di passare la vita assetati/sotto il potere dei falliti", la voce della disperazione urbana, tirata, depressa. Mi parla di storie di Roma, di compagni e di desolazione, di perdersi e ritrovarsi. Mi mette di malumore, mi fa incazzare ancora oggi, così legata alle note nervosamente post-punk dei Bruti (da qualcuno definiti, forse esagerando, i "Motorpsycho de noialtri") da regalarmi delle emozioni che normalmente l'hiphop non mi concede, mi deprime e mi rifà incazzare: "non so se saprei vivere in pace/solo il conflitto continuo/tra i modi di vita/indica una via d'uscita". "Conflitto", insieme al precedente "Terra di Nessuno" è l'album più cupo e disperato, come se dai testi, dalla voce di Militant A e dalle note dei Bruti si percepisse una rabbia angosciosa, senza nessun spiraglio di sorrisi o leggerezza. E' un disco schierato, politico, fazioso, che sicuramente non piacerà a molti proprio per la sua schiettezza, ma la veridicità di personaggi come Militant A è fuor di dubbio (ho avuto il piacere di scambiarci delle battute dopo una presentazione del suo libro).
Il disco se ne scivola via fra i ritmi epilettici dei Bruti e il flow singhiozzante e pieno di pathos di Militant A: più che un capolavoro musicale, "Conflitto" rappresenta una fonte documentale del periodo di grande fermento politico dell'underground italiano del dopo HardCore e una traccia di come si possa fare hip hop in Italia restando fuori dagli schemi sia sonori che poetici.

Press Play on Tape: Run/Stop Restore
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_23430/Press_Play_on_Tape_RunStop_Restore.htm
Recensione di: kemoSabe, (Wednesday, May 14, 2008) | Voto: * * * ° °
Copertina di Press Play on Tape Run/Stop Restore
Load "recensione", 8,1
Preso dallo sconforto per alcuni ultimi ascolti veramente da palle cadute nelle scarpe (basta coi rrreeeemmmmm), mi sono messo in cerca di qualcosa di stravagante in giro per la rete e ho scoperto un mondo fatto esclusivamente di 8 bit.
I PPOT (geniale la copertina dei cd con il logo di ZZap) sono una band di Copenaghen composta da sei ragazzotti che, invece di imbracciare la chitarra e picchiare forte sui tamburi, hanno scelto di dedicare la loro musica a sequencer, sintetizzatori, tastiere e al mitologico SID (Sound Interface Device chip - MOS 6581), il chip sonoro del Commodore 64. Il sestetto propone quindi una rilettura modernamente retrò e con riarrangiamenti rockeggianti delle colonne sonore dei più famosi videogiochi per l'ottobit di casa Commodore degli anni 80: Ghost and Goblins, Commando, Paper Boy, Cannon Fodder ("waaaar, never been so much fuuuun, wawawawawar", semplicemente geniale), Last Ninja, Arkanoid e via discorrendo. Musicalmente si tratta di pezzi elettronici, eclettici con ritmi che variano dal quasi heavy metal a rielaborazioni più tranquille ("Aztec Challenge") fino a divagazioni skapunk ("Desecrator - Space Tank").
Naturalmente non si tratta di dischi che faranno la storia, ma per chi, come me, a volte si lascia prendere dalla nostalgia sono un vero piccolo tesoro.
P.S.: nella recensione ho fatto un errore (voluto) madornale... chi se n'è accorto? in plio un bellissimo no-prize.

Doug Liman: Jumper
Recensione di: kemoSabe, (Thursday, March 20, 2008) | Voto: * ° ° ° °
Copertina di Doug Liman Jumper
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_22709/Doug_Liman_Jumper.htm
Alle volte mi piace andare al cinema a "spengere la mente", a vedere un filmetto che sia divertente e poco impegnativo, giusto per passare un paio d'ore spensierate.
In questa tipologia ci possono essere inseriti i film alla Michael Bay, la saga degli X-Men o roba tipo Underworld.
Quindi, l'altra sera mi sono convinto di andare a vede questo "Jumper", pieno di speranze per un film che prometteva, dal trailer, di essere "ganassa" al punto giusto: SFX ottimi, una storiella carina, personaggi sopra le righe. Speranze puntualmente disattese.
Iniziamo dalla trama: un ordinario ragazzetto sfigato scopre che può teletrasportarsi ovunque (è, appunto, un Jumper) e, nel giro di pochi anni (nel film passano pochi minuti di narrazione diretta del protagonista), si trasforma in un superfigo ladro con pochi scrupoli finchè non incontra i Paladini, un gruppo che, a quanto ci dice uno stralunato, fuoriluogo e al limite del ridicolo Samuel L. Jackson, cacciano i Jumper dall'alba dei tempi (una spruzzatina di "conflitti segreti" ci sta sempre bene, di questi tempi). Dopo questo primo incontro, il mondo dorato del protagonista crolla e lui si rifugia prima dall'amica d'infanzia di cui è sempre stato innamorato, poi da un secondo jumper. Da qui il film si inabissa ulteriormente (come se ce ne fosse bisogno) in una palude di luoghi comuni, fallendo miseramente nel suo intento "evasivo", risultando noioso e scontato, dando l'idea di occasione sprecata e procedendo con una narrazione "a salti".
Viene anche a mancare uno dei punti su cui contavo: i combattimenti fra jumper e paladini sono brevissimi e poco intensi, con coreografie insufficienti (ah, bei tempi quelli di Matrix) e incongruenze una dopo l'altra. Il finale poi raggiunge l'apoteosi della tristezza, fra questioni irrisolte (immancabile il sequel già annunciato), aspirazioni messianiche ("io sono diverso", declama più volte il protagonista) e una realizzazione tecnica scadente.
Per quanto riguarda gli attori, somma delusione per un Samuel L. Jackson con i capelli argentei che nonostante sia uno dei paladini esperti fa una magra figura, Hayden Christensen recita nel solco dell'inespressività (come nella sua sublime interpretazione di Anakin Skywalker), Rachel Bilson sempra sempre impegnata sulle spiaggette alla moda di "The O.C.".
In conclusione, "Jumper" rappresenta il new deal dell'action movie per ragazzetti statunitensi (in cui possiamo inserire filmoni come "Transformers" e similari), in cui i registi nemmeno provano a osare qualcosa di diverso, ma, al contrario, raccontano sempre la stessa storia, cambiando solo qualche dettaglio (esemplificativo il fatto che in "Jumper" viene citato un paio di volte Spiderman e la Marvel, suggerendo un parallelismo ideale fra i due film), stemperando ogni pretesa autoriale


Ultima modifica di kemoAdmin il Gio Mag 29, 2008 4:58 pm - modificato 2 volte.
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Messaggio Da kemoAdmin Gio Mag 29, 2008 4:49 pm

Lee Gordon Demarbre: Jesus Christ Vampire Hunter
Lee Gordon Demarbre: Jesus Christ Vampire Hunter
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_22498/Lee_Gordon_Demarbre_Jesus_Christ_Vampire_Hunter.htm
Recensione di: kemoSabe, (Saturday, March 08, 2008) | Voto: —
Copertina di Lee Gordon Demarbre Jesus Christ Vampire Hunter
Appassionati di Z-Movie di tutto il mondo, Unitevi!
Lo sconosciuto regista (?) Lee Demarbre e l'altrettanto sconosciuto sceneggiatore Ian Driscoll nel 2001 firmano questa "opera" cinematografia di rara stranezza.
La trama è quanto di più demenziale, blasfemo e traumatico si possa trovare.
In una imprecisata città canadese, il malefico Dottor Praetorius scopre il modo di fare sopravvivere i vampire alla luce del sole: la pelle di donne lesbiche!!! Così comincia a creare un esercito di non morte lesbiche capitanate dall'avvenente Maxine Shrek. Un prete, preoccupato della degenerazione nella violenza e della brutta fine delle lesbiche della città, decide di arruolare (mediante l'intervento di due seminaristi, un punkettone crestato e un effemminato biondino) il campione della Cristianità: Gesù Cristo, che si trova placidamente su una spiaggetta.
L'eroe, come da canone di film d'azione, inizialmente rifiuterà la missione (impegnato com'è a battezzare, bere limonata, predicare e paragonare gli umani a un castello di sabbia), ma verrà convinto dall'intervento dei vampiri che uccideranno i due messi facendolo incazzare come un agnello e convincendolo ad utilizzare il suo "divino Kung-Fu" per fare piazza pulita dei succhia sangue. In questa avventura (in cui dovrà affrontare a suon di pugni e calci anche un gruppo di squinternati atei) sarà affiancato da altri due discutibili personaggi: Santo, un wrestler di lucha libre messicana con tanto di maschera e Mary Magnum, una prosperosa agente della chiesa (chi non ci riconosce un tributo a Russ Mayer in castigo dietro la lavagna!!!). L'apoteosi del film si avrà in una mega rissa finale in un club (i Vampiri vengono ammazzati anche con della Birra Benedetta) e nel confronto dialettico fra Jesus e suo padre (eh si, proprio "Nostro Signore") che gli apparirà sotto forma di coppetta di gelato all'amarena!
Come si può facilmente intuire siamo nel regno del trash più puro: demenzialità e blasfemia vanno a braccetto con una buona dose di splatter amatoriale, tecnicamente si parla di una pellicola interamente girata in 16mm, recitata da attori non professionisti amici del regista (a volte si vedono sghignazzare allegramente fra loro), con coreografie dei combattimenti abbastanza ridicole. Contenutisticamente ci si trova di fronte a uno z-movie che rischia di cadere nella noia, ma viene salvato da alcune trovate genialmente malsane con battute e scene blasfeme e divertentissime: i difetti di sceneggiatura, gli effetti speciali che a volte scadono nel ridicolo, il doppiaggio e la recitazioni amatoriali (per non dire di peggio...) appaiono comunque funzionali alla generale "sgangheratezza" della pellicola che si colloca una spanna più in alto delle produzioni americane della Troma.
The first testament says "an eye for an eye." - The second testament says "love thy neighbour" - The third testament ... Kicks Ass!!!
Una precisazione e una postilla: non metto voti alla pellicola che sarebbe paradossale sia appioppargli un 1 che un 5. Il film è difficilmente reperibile, se non sulle reti P2P.

Earth: The Bees Made Honey In The Lion's Skull
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_22122/Earth_The_Bees_Made_Honey_In_The_Lions_Skull.htm
Recensione di: kemoSabe, (Friday, February 15, 2008) | Voto: * * * * °
Copertina di Earth The Bees Made Honey In The Lion's Skull
La ricerca sulla scarnificazione del suono continua.
Gli Earth di Dylan Carson (ricordiamo: l'uomo che ha trasformato, nel bene e nel male, Kurt Cobain da rockstar in leggenda), della moglie Adrienne Davies, del bassista Don McGreevy e del tastierista Steve Moore propongono con il nuovo "The Bees Made Honey In The Lion's Skull" una ulteriore prosecuzione nel solco aperto da "Pentastar: In the Style of Demons" (forse il mio disco preferito degli Earth) e scavato con "Hex: or Imprinting the Infernal Method" (e dalla autorilettura di "Hibernaculum"): estenuanti canzoni descrittive basate su rarefatti riff chitarristici molto intensi e su un drumming lento e ipnotico.
Si tratta di un album molto debitore alla psichedelia (è presente spesso un organetto Hammond), ma con elementi riconducibili alla tradizione musicale nordamericana dal jazz (esemplificativa la presenza in tre tracce del twang chitarristico di Bill Frisell) al country/gospel, un album che comunica e suggerisce sensazioni "western" (non a caso, Carson cita il film "Dead Man" di J. Jarmusch come fonte di ispirazione) e che si allontana decisamente dagli eccessi DroneMetal (per quelli, chiedere ai Sunn O))), please). Dai temibili primordi di "Extra-capsular extraction/Earth2/Phase3" di derivazione lamonteyoughiana, i nostri si avvicinano ancora di più a un forma-canzone personale basata sulla diliatazione dei suoni, sulla loro essenzialità e perfezione, in alcuni frangenti richiamano prepotentemente un immaginario post-morriconiano attraverso una sorta di folkmusic del XXI secolo (la track "Rise To Glory"), in altri suggestioni (medio)orientali che estraneano l'ascoltatore anche con l'aiuto di un tappeto pianistico ("Hung from the Moon").
Accanto agli entusiasmi non si può non notare che qua e la fa capolino una certa noia dovuta ad una eccessiva ridondanza e un eccessivo barocchismo, sensazione che comunque sono molto soggettive e umorali.
Gli Earth si presentano al pubblico, quindi, con un album che forse rappresenta il loro capolavoro, monotono (da non intendersi come un difetto), magniloquente e foderato da suggestioni ipnotiche: come se negli anni della maturità (e dopo essersi disintossicato), Carson avesse sedato il dronedemone sotto una coltre Folk di perfezione espressiva e cura maniacale dei dettagli.

Weedeater: God Luck And Good Speed
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_22098/Weedeater_God_Luck_And_Good_Speed.htm
Recensione di: kemoSabe, (Thursday, February 14, 2008) | Voto: * * * ° °
Copertina di Weedeater God Luck And Good Speed
Barbe incolte, chitarre, bassi, batterie, magliette sudiste con le maniche tagliate, erba, burbon e Black Sabbath sono gli ingredienti primari (non necessariamente in quest'ordine) che compongono questa proposta musicale della benemerita Southern Lord.
I Weedeater, trio statunitense formato dal cantante bassista Dave "Dixie" Collins (ex frontman dei, a torto misconosciuti, Buzzov-en), il chitarrista Dave "Shep" Shepherd e il batterista Keith "Keko" Kirkum, propone in "God Luck and Good Speed" una malsana miscela di southern metal, stoner doom e blues distorto di cui bastano i primi minuti per capire la "materia verde" di cui si cibano i nostri: lentezza, drumming potente, chitarre sludge e voce sforzata e strappata (anche se in misura inferiore rispetto ai precedenti album).
Le nove canzoni di cui è composto il disco prodotto da sua maestà Steve Albini (8 canzoni su nove) si dipanano quindi all'interno di un genere già canonizzato (dagli Electric Wizard ai Bongzilla passando per l'oscurità delle produzioni Southern Lord) regalando emozioni a bassa vibrazione, con cadenze essenzialmente mid-tempo, rallentando all'occorrenza verso il doom più oscuro e concedendoci qualche piacevole sorpresa: la prima è la canzone non prodotta da Albini, "Alone", che accosta a un cantato quasi sussurrato e pulitissimo un banjo molto southern, una generale atmosfera da sedia a dondolo davanti la casa colonica in South Carolina. Le successiva sorprese sono la cover, brutalizzata e rallentata, di "Gimme Back my Money" dei Lynyrd Skynyrd (strano che vengano così poco citati dagli stoner...) che forse rappresenta uno dei punti più coinvolgenti del disco e la conclusiva "Willow", solo pianoforte e qualche sparso stridio in sottofondo, che rappresenta invece la parte più debole e fuori contesto di "God Luck and Good Speed".
Ancora una volta l'etichetta losangelina fa un centro, proponendo una formazione che, con anni di esperienza alle spalle, approccia un genere (che troppe volte tende a ripetere se stesso) arrivandoci attraverso il dolciastro sapore di bourbon del rock sudista.

Asbestosdeath: Dejection/Unclean
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_21871/Asbestosdeath_DejectionUnclean.htm
Recensione di: kemoSabe, (Friday, February 01, 2008) | Voto: * * * * °
Copertina di Asbestosdeath Dejection/Unclean
Scurissimo e Magmatico.
Sin dalla copertina, la riedizione degli EP ("Dejection" e "Unclean", appunto) usciti rispettivamente nel 1990 (autoprodotto) e nel 1991 (per la Profane Existance di San Diego), si respira un'aria scura. Da questi 4 vagiti, da questi 20 minuti di musica, è nata un'intera generazione di band che vessano le nostre orecchie.
Gli Asbestosdeath sono l'embrione che ci ha portato gran parte delle migliori band della scena doom/storner degli ultimi anni. Basta dare uno sguardo ai componenti di questa band: Matt Pike (poi negli Sleep e negli High on Fire), Al Cisneros e Chris Hakius (prima negli Sleep e adesso negli OM) e Thomas Choi (It Is I, Operator Generator).
Le quattro canzoni che compongono questa riedizione (Southern Lord Santa Subito!!!) sono, se possibile, una versione ancora più rozza, più scarna e primitiva del suono codificato dalle band figlie: doom e sludge rallentato e pesante, urla lancinanti (qui Cisneros si piazza dalle parti dello screamo), chitarre cupe e suoni che cozzano direttamente sullo stomaco dell'ascoltatore (coordinate: Eyeategod) sono gli ingredienti che rendono questo disco l'erede bastardo dei Black Sabbath che copulano con i Melvins. Colpisce positivamente la presenza, sepolta fra lo sludge sporco dei quattro, di chitarre pulite che rendono ancora più angosciante il clima creato dalla band.
Contenutisticamente, gli Asbestosdeath si discostano dalle band successive per le tematiche trattate: misantropia, odio, testi duri e brutali, stranamente non influenzati dall'erba quanto le creazioni liriche successive nè dalle derive misticheggianti degli OM o dalle tematiche guerresche degli H.o.F.
Un inno alla desolazione e al sudicio, all'angoscia ("Anguish" è la traccia migliore delle quattro), un disco seminale per tutto quello che verrà dopo e un "must-have" per ogni stoner/doomer che si rispetti.
Note negative: una produziono molto Lo-Fi (anche se non poteva essere diversamente) e una colpevole assenza di informazioni nel booklet (riporta laconicamente solo i nomi dei membri della band) che comunque presenta un artwork in linea con i contenuti del disco.
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Messaggio Da ashlar Gio Mag 29, 2008 5:06 pm

"Jesus Christ Vampire Hunter" pensavo di essere uno dei pochi pessimi ad averlo visto Very Happy . Ma siccome ognuno ha gli amici che si merita ecco che a poche spanne mi ritrovo un decerebrato par mio che lo ha visto Very Happy

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Messaggio Da kemoAdmin Gio Mag 29, 2008 5:53 pm

ashlar ha scritto:"Jesus Christ Vampire Hunter" pensavo di essere uno dei pochi pessimi ad averlo visto Very Happy . Ma siccome ognuno ha gli amici che si merita ecco che a poche spanne mi ritrovo un decerebrato par mio che lo ha visto Very Happy
E' in effetti uno dei film più scagiati che abbia mi visto Very Happy e una rece se la meritava di sicuro
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Messaggio Da efxbug Gio Mag 29, 2008 6:54 pm

kemoAdmin ha scritto:
ashlar ha scritto:"Jesus Christ Vampire Hunter" pensavo di essere uno dei pochi pessimi ad averlo visto Very Happy . Ma siccome ognuno ha gli amici che si merita ecco che a poche spanne mi ritrovo un decerebrato par mio che lo ha visto Very Happy
E' in effetti uno dei film più scagiati che abbia mi visto Very Happy e una rece se la meritava di sicuro
scusa eh... e secondo te all'admin chi gliel'ha portato? Very Happy

L'ho preso dai miei colleghi... secondo me sono i tecnofili che sono malati di mente ^^
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Messaggio Da kemoAdmin Ven Lug 18, 2008 2:41 am

altra rece da Debaser

Ascend: Ample Fire Within
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_24229/Ascend_Ample_Fire_Within.htm
Recensione di: kemoSabe , (Tuesday, July 15, 2008) | Voto: * * * * °
C'erano una volta, tanti anni fa, un paio di gruppi che in pochi, nonostante la qualità si sono filati in pochini: gli Iceburn di Gentry Densley (vergogna! Nemmeno una rece su DeBaser, si sono meritati!) e gli Engine Kid (che in effetti non conosco, ma sono uno dei primi gruppi del benemerito Greg Anderson, poi in Goatsnake, SunnO))) e un altro migliaio di gruppi) che si divisero uno Split nel lontano 1994. Da allora in poi, le loro strade si sono divise, da una parte col il jazz-core dell'Iceburn Collective, dall'altra con le varie sperimentazioni in campo doom/drone, fino a rincontrarsi nel 2008 per formare questo (super)gruppo chiamato Ascend, insieme a Bubba Dupree (già nei misconosciuti Void di casa Dischord), a Kim Thayil (occorre precisare con chi abbia suonato?), a Andy Patterson (batteria) e Steve "Stebmo" Moore (polistrumentista neo-Earth, qui alle prese con i fiati e l'organo Wurlitzer).
La proposta del duo barbuto e dei collaboratori si posiziona su binari drone/doom/ambientali, ma si differenzia dal canone per una ispirazione Blues (rintracciabile, ad esempio, nella straniante chitarra di Thayil nel bel mezzo dell'incalzante drone di "VOG"), per l'uso di una voce rallentatissima e molto sofferta, ma molto presente in tutti i brani proposti (in "Divine" sembra di sentire un Tom Waits sotto oppiacei, accompagnato dal trombone e dal piano di Moore) e delle "sorprese" sonore come fiati, organi e andamenti da marcia funebre ("Dark Matter", la migliore canzone del lotto insieme alla già citata "Divine": l'effetto organo+trombone+droni è ipnotico e molto particolare).
L'impressione che si ricava dall'estenuante ascolto di questo disco è che il progetto sia una sperimentazione in grado di spingere il dronemetal del "Signore del Sud" in una virata nettamente psichedelica (saranno suggestioni postipnotiche, ma ci ritrovo anche traccie dei Pink Floyd più spaziali), in una versione catacombale di un gospel per anime perse, in un mantra metallico e sofferente (qualcuno suggerisce anche un improbabile incorcio fra OM e Melvins) che mixa sapientemente la pesantezza e la ripetitività delle chitarre e delle distorsioni di derivazione Sunn O))) con suggestioni compositive jazzistiche, tessuti sonori molto complessi e stratificati e un'anima blues che si coniuga perfettamente con lo Sludge colto e sperimentale degli Ascend. Una proposta, quindi, che si discosta dal rischio di staticità insito nella musica drone e che risulta consigliabile a tutti gli ascoltatori (disposti a perdersi qualche altra tacca di udito, visto che l'ascolto va fatto rigorosamente in cuffia e a un volume "maestoso") di questo tipo di musica (personalmente, lo considero una delle uscite di musica estrema fondamentali nel 2008).
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Messaggio Da kemoAdmin Ven Set 05, 2008 2:31 pm

Altra rece su debaser:


Tricky - Knowle West Boy

2008: il Ritorno del Trip Hop?
Dopo il disco di Portishead (così-così), l'A.D. 2008 segna anche il ritorno dello sgembo folletto di Bristol: Tricky.
Il Nostro, dopo aver canonizzato come genere il Trip-Hop prima con la collaborazione con i conterranei Massive Attack, poi con l'immortale "Maxinquaye" ("karmakoma... what? ...Jamaican Aroma ...karmakoma ...what? ...Jamaican Aroma..."), aveva progressivamente perso lo smalto, rilasciando dischetti che andavano dall'accettabile ("Angels with Dirty Faces") all'inascoltabile (l'ultimo "Vulnerable" datato 2003) che avevano portato il buon Adrian a un pericoloso esaurimento creativo. Così, il folletto s'è nascosto, è scomparso fra la folla di New York, tornando a vivere sulla strada e a pensare "da strada", a pensare alla sua infanzia/adolescenza nel quartiere popular di Bristol, quel Knowle West che da titolo al suo ultimo lavoro.
Quindi Tricky (finalmente!) torna a fare buona musica, sudata e sentita al punto giusto e piena di spunti: si parte con una retrofuturista "Puppy Toy", a base di chitarre, piano e voce femminile, si passa per una languida cover di "Slow" di Kyle Minogue e Emiliana Torrini, si ascolta un roco Tricky in ispiratissima versione Tom Waits, si balla con ritmiche pompate e si ascolta della musica elettro scura e densa.
Fondamentalmente, il disco può essere idealmente diviso in due parti. Una parte più prettamente di derivazione Trip-Hop in cui fanno la parte del leone il singolo "Council Estate" che propone ritmiche serrate e un Tricky nervoso, la traccia "Joseph" (con la collaborazione di uno sconosciuto cantante jamaicano incontrato per strada), una specie di ritorno al trip-passato, l'ottima "Cross to Bear", un mix vellutato di atmosfere bristoliane e musiche quasi balcaniche e orientaleggianti e una delle migliori canzoni del lotto: "Past Mistake", lenta e densa soul music del terzo millennio.
La seconda parte del disco è più sfacciatamente black: lo straordinario impatto delle basi elettroniche con il suono dei violoncelli di "Coalition" (oltretutto con una interessante citazione di Gil Scott Heron), la ritmica serrata quasi stomp di "Veronika" (con alle voci feminili la nuova musa Veronica Cassuolo, torinese doc di CasaSonica) e con "School Gates", scurissima semiballad dal sapore country.
Nel disco ci sono anche alcune canzoni piuttosto discutibili (su tutte, l'ignobile "C'man Baby" e un paio di passaggi da "seanpaul" che si poteva risparmiare), ma sono cadute di stile perdonabili, vista la qualità media piuttosto alta.
Unico rimpianto: dov'è finita Martina Topley-Bird? Ancora adesso se ascolto "Black Steel" dal primo disco, la sua voce mi mette i brividi.
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Messaggio Da kemoAdmin Sab Ott 04, 2008 2:30 pm

Questi potrebbero piacere anche al Cristof:
Iceburn: Hephaestus
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_25143/Iceburn_Hephaestus.htm
Recensione di: kemoSabe, (Friday, October 03, 2008) | Voto: * * * * °

All'inizio degli anni 90, negli Stati Uniti, si assiste a una speie di "rinascita" HardCore: alcune band (spesso ingiustamente sconosciute ai più) gettarono il seme della sperimentazione e della contaminazione che poi sarebbe sfociato (anche) nell'attitudine crossover e/o postrock che ha caratterizzato gli anni 90.
Una delle band più rappresentative di questa rinascita (accanto a gente come Quicksand, Fugazi, Inside Out, Bad Brains e la politicizzata scuderia Ebullition) sono gli Iceburn (in seguito Iceburn Collective) del chitarrista Gentry Densley (si, proprio quello degli Ascend). Nel 1993 il power-trio rilascia quello che, secondo chi scrive, rappresenta l'album definitivo della band: "Hephaestus".
Si tratta di un lungo concept (78 minuti!!!) diviso in quattro suite ("Iron", "Brick", "Flyswatter" e "Blacksmith") a loro volta divise in 28 segmenti. La musica degli Iceburn parte da una matrice fortemente hardcore/punk, virando repentinamente verso la contaminazione con elementi di avanguardia, jazz, psichedelici: un mix celebrale e tecnico inconsueto per band di questa estrazione musicale.
Le composizioni sono quindi un mix fra l'irruenza tipica dell'HC, rumore sonicyouthiano e lunghe parti strumentali in cui fanno capolino spunti progressive. In alcuni episodi la band produce un suono più duro e veloce come nel caso di "I" e "Only", mentre in brani come "Swatter" arrivano a lambire il tipico suono sporco e distorto dell'epopea grunge. In altri episodi ("Swatted" e "Deconstruction") emerge l'anima più jazz e avanguardista e, in alcuni passaggi, una specie di incrocio bastardo fra noise newyorkese e le sonorità dei Primus. La voce di Densley, poi, molto cantilenante e "estranea" all'assalto tipico del genere di derivazione punk, conferisce un'aura più marcatamente rock.
Lo stile della proposta musicale (ottimamente eseguita, peraltro) degli Iceburn risulta quindi molto eterogeneo e fratturato, celebralo e complesso, ma sempre duro e d'impatto (caratteristica, quest'ultima, in parte persa con le uscite successive): ascoltando questo disco (ricordo di averlo sentito la prima volta durante una trasmissione radiofonica di RadioDue condotta dal buon C. Sorge... bei tempi!!!) se ne può capire la seminale importanza nello sviluppo di certo post-HC degli anni a venire.
"Defined: Iceburn - perhaps the most amazing band in the universe. In a sentence: Iceburn is the most punk band who doesn't play anything resembling punk music. Iceburn."
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